«Scavavo a mani nude in ginocchio sulle macerie, in una nuvola di polvere, al buio la chiamavo: “Mara, Mara“ ma lei non rispon-deva».
È il racconto che Simone Nardoni, chef e cugino di Mara Se-verin, affida alle pagine di La Repubblica dopo la tragedia all’interno del ristorante Essenza a Terracina.
Per Simone Nardoni Mara era la cugina, ma anche un’ amica, una sua alter ego, che non c’è più.
A capire subito che qualcosa di strano lunedì sera stava avve-nendo in quel locale tra via Cavour e via Tripoli, è stata la moglie dello chef, che qualche istante prima della tragedia lo aveva avvertito di strani rumori mente lui era nel dehor con al-cuni clienti.
Poi «all’improvviso – racconta ancora a La Repubblica – si sono spente tutte le luci e si è sentito un boato provenire dall’interno. Non si vedeva più nulla».
Nardoni d’istinto si è buttato dentro questa enorme nuvola di fumo e polvere senza capire neanche cosa fosse successo: «Non avevo idea di chi e quante persone potessero essere rimaste coinvolte. Mia moglie era in salvo, ma c’era i clienti, i miei collaboratori. C’era tanta gente che fuggiva, gente che gridava, chi chiedeva aiuto».
È drammatico il racconto dello chef: «Io stavo in ginocchio a scavare con le mani, volevano portarmi via perché non era si-curo, ma Mara non rispondeva e non mi sarei mai messo in salvo senza di lei. Sono stati 15 – 20 minuti interminabili, poi l’hanno trovata e mi si è riaccesa la speranza. Era viva quando l’hanno tirata fuori». Poco dopo il cuore della 31enne si è spetno. Tutti piangevano disperati.
Con la cugina lavorano insieme da 10 anni: «Mara – dice an-cor Simone – era innamorata del suo lavoro, era la sua vita. L’ha dimostrato con la sua istintiva generosità: prima di met-tersi in salvo ha pensato a fare uscire i clienti che stavano dentro. Fosse scappata subito probabilmente ora sarebbe ancora viva».
Simone Nardoni non sa spiegarsi il crollo: «Noi siamo solo af-fittuari del locale – dice – e non abbiamo mai fatto altro che ordinaria manutenzione. Nulla che potesse provocare questo disa-stro. Ho bisogno di fermarmi per un po’ – conclude – poi prove-remo a ripartire nel nome di Mara».







