Roma – Nel Basso Lazio oltre 4000 imprese in sofferenza. L’allarme della CGIA sul rischio usura

Nel Lazio ci sono quasi 25 mila imprese in difficoltà a restituire i prestiti contratti. Ed il rischio usura è dietro l’angolo.

     L’allarme lo lancia la Cgia di Mestre che ci racconta, in tutta Italia, di 240 mila aziende a rischio.

     Sono quelle che presentano delle esposizioni bancarie deteriorate. Imprese e partite Iva che risultano essere “schedate” presso la Centrale dei Rischi della Banca d’Italia come insolventi. Una classificazione che – dice la Cgia –  pregiudica, per legge, a questi soggetti economici di accedere ad alcun prestito erogato dalle banche e dalle società finanziarie. Una condizione che, ovviamente, non consente di avvalersi nemmeno delle misure agevolate messe in campo recentemente dal Governo con il cosiddetto “decreto Liquidità”.

     Stando ai dati  relativi al 31 marzo 2020 il Lazio è la seconda Regione in Italia come numero  di imprese in sofferenza, dietro la Lombardia. Complessivamente sta messo peggio il sud con oltre 80 mila imprese in difficoltà.

     A livello di province la situazione è critica in quella di Roma con oltre 18 mila imprese in sofferenza, ovvero il 7,6% del totale.E’ la peggiore in Italia secondo la Cgia.

     In provincia di Latina sono 2345 le imprese in sofferenza, in provincia di Frosinone 1962. A Viterbo 1449, a Rieti 531.

     Le scadenze fiscali – dice ancora la Cgia – spesso sono l”innesco che attiva molte aziende a corto di liquidità a “contattare” o a essere “contattate” dalle organizzazioni criminali.    Per la Cgia fino al prossimo 31 luglio ci troveremo di fronte ad un vero e proprio ingorgo fiscale.

     In seguito allo slittamento delle scadenze avvenuto nei mesi scorsi a causa del Covid, salvo cambiamenti dell’ultima ora, saranno ben 246 le scadenze fiscali (Irpef, Irap, Ires, Iva, ritenute e contributi Inps) che le aziende saranno chiamata rispettare”.

     Di queste, il 93,5 per cento riguarda versamenti: «Giornate a forte rischio che, speriamo –  auspica la Cgia –  non vadano ad alimentare il mercato del credito irregolare».